Editoriale pubblicato sul mensile Lungiana la Sera, diretto da Maurizio Bardi, nel mese di luglio 1991
Un giallo politico. Non un incidente di percorso, o una sentenza troppo dura, o solo una macchia nella storia della Resistenza alla Spezia e in Lunigiana.
No, il Caso Facio evoca i fantasmi di una battaglia politica tutta interna al partito comunista, in quelle terribili stagioni del 1943-1944
, che lega con un filo sottile la vicenda dei fratelli Cervi (compreso il famoso "cordone sanitario" steso dal partito nella clandestinità intorno alla casa di Campegine), la sentenza di morte che insegue Dante Castellucci sin sui inonti dello Zerasco e il torbido percorso politico-militare di Antonio "Salvatore" Cabrelli (v. Lunigìana la Sera n.5).
L'esecuzione ordinala dal Pci di Reggio Ernilia e il "tradimento" di Cabrelli il quale nel '40 capitola ai fascisti e finisce al confino, costituiscono i punti di partenza obbligatori per chiunque voglia avvicinarsi alla verità sulla morte di Facio.
Ci si chìederà quale relazione sarà mai esistita tra i due eventi. Anche senza avere la pretesa di giungere a conclusioni definitive, a questo punto non si può più eludere un interrogativo: come mai un personaggio come Cabrelli, sospettato di spionaggio, espulso dal Pci nel '39, un personaggio che tratta il suo rientro in Italia direttamente con l'ambasciata di Parigi e infine compila di suo pugno l'abiura agli ideali antifascisti, senza peraltro lesinare informazioni di tipo delatorio, riesce ad arrivare al vertice della IV zona operativa con il consenso del Partito Comunista?
Ed oggi, alla luce dell'ordine di esecuzione emesso da "qualcuno" del PCI reggiano, non è forse lecito chiedersi se c'è stata una relazione tra quel consenso dei PCI (alquanto strano, si ammetterà!) e la fucilazione del comandante Facio?
Si potrà obiettare, con ragione, che le regole della clandestinità erano dure: in linea puramente teorica sarebbe bastato anche il sospetto per decretare la condanna a morte di qualcuno in grado di danneggiare irreparabilmente una organizzazione guerrigliera.
Ma non è il caso di Facio. Prima, perché l'uomo che ordinò a Sarzi di sopprirnerlo conosceva perfettamente - come abbiamo visto - le drammatiche circostanze della sua fuga dal carcere di Parma. Secondo, perché a maggior ragione si sarebbe dovuto applicare la medesima regola a Cabrelli, il cui tradimiento - o quanto meno lo squallido compromesso raggiunto con il fascismo è ampliamente documentato.
Nè si può sostenere credibilmente che nessuno, nel movimento partigiano, fosse avvertito: in proposito esiste la testimonianza di Vittorio Marini, secondo il quale l'organizzazione di Parma nutriva seri sospetti sul conto di Cabrelli, tanto che ai monti arrivò la disposizione di tenerlo d'occhio. Cabrelli invece salta il massimo vertice politico della quarta zona e proprio passando sul cadavere di Facio.
I nuovi elementi raccolti sino ad oggi consentono di formulare un'ipotesi díversa: Salvatore era ricattabile, o almeno condizionabile: chiunque fosse stato a conoscenza dei suoi cedimenti al fascismo avrebbe potuto imporgli di portare a compimento la sentenza di morte decretata altrove.
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